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Julio Velasco saluta il volley: tutti in piedi per uno "jesino" super

8' di lettura 10/05/2019 - La decisione, nella tarda serata di giovedì, da Modena dove allena.

Era, è e sarà sempre il Re Mida del volley. Un mito senza tempo, un fenomeno senza paragoni, un personaggio super con la ‘jesinità’ nel sangue. Una figura prestata anche ai campi da calcio, con esperienze in qualità di dirigente nella Lazio di Sergio Cragnotti e nell’Inter di Massimo Moratti.
Ha allenato uomini e donne, ha parlato e parla come motivatore e relatore nelle più importanti conferenze mondiali. Ha vinto Olimpiadi, Mondiali, World League, Europei, Campionati.
Ha sconvolto la mentalità di gioco italiana e il concetto di leadership.

Julio Velasco è la pallavolo. E non poteva che essere altrimenti, essendo nato il 9 febbraio 1952, lo stesso giorno del volleyball, che contrariamente ad altri sport ha una data di nascita ben precisa: il 9 febbraio 1895, quando l’istruttore di educazione fisica William G. Morgan presentò al collegio YMCA di Holyoke il gioco da lui stesso ideato (Storie di sport.It).
Julio Velasco, allenatore della Tre Valli Jesi nelle stagioni ‘83-84 e ‘84-85, sarà per sempre lo Special One (“one and only”, verrebbe da aggiungere in una eco anglicistica di slogan) della “generazione di fenomeni”.
Ad un anno dal suo ritorno al Modena Volley, Julio Velasco lascia il club. La decisione, arrivata come un fulmine a ciel sereno nella tarda serata di giovedì, è pesantissima per l’intero panorama della pallavolo: dopo aver portato in cima al mondo lo storico club Panini alla fine degli anni ’80, il tecnico argentino ha deciso di chiudere la sua carriera da coach. Un’annata conclusasi con la semifinale persa per 3-2 contro Perugia e con una Supercoppa Italiana vinta ad ottobre al tie break contro l’Itas Trentino.
Il suo addio al volley arriva poi nell'anno in cui, a Jesi, il Volley Club vince il campionato e sale in serie C, scrivendo un'altra importante pagina di storia.

Sorpresa per questa amara decisione anche la presidente di Modena Volley, Catia Pedrini, che ha affidato il commento ad un comunicato stampa. “La decisione presa da Julio Velasco di chiudere la propria carriera da allenatore va accettata, come si accetta ciò che viene deciso da una persona che ha dimostrato, in ogni circostanza, enorme correttezza, professionalità, e passione – si legge nel comunicato stampa di Modena -. Velasco è stato, è e sarà per sempre un simbolo della nostra società e della nostra città ed è proprio a nome di tutta Modena che, come Modena Volley, intendiamo ringraziarlo per ciò che ha fatto come uomo e come allenatore ogni volta che è stato chiamato a rappresentarci”. A metà anni ottanta il tecnico argentino “ha preso per mano una squadra ed una società e l’ha fatta divenire una leggenda indelebile nella storia dello sport e ha fatto si che oggi, Modena, sia unanimemente riconosciuta come culla del volley mondiale. Julio Velasco è tornato a Modena e durante l’ultima stagione ha dimostrato, coi fatti, di essere non solo un vincente, ma un uomo con una capacità ineguagliabile di insegnare, guidare e motivare”.

Noi di Vivere lo vogliamo salutare con un racconto esclusivo, creato sulla base di documentazioni inedite di carattere storico (un grazie particolare anche ad Anna Virginia Vincenzoni Casoni per le concessioni e ad Alberto Santoni, primo vice-coach di Velasco), che ancora oggi fa venire i brividi.

Sin dai primi anni della sua carriera, prof. Julio Velasco ha enfatizzato il ruolo vitale dell’atletica quale sport di rendimento fisico individuale.
L’atletica, infatti, ha attribuito al volley una specifica rigorosità nella preparazione fisica nonché nella programmazione degli allenamenti.
Per citare particolari aneddoti delle prime settimane di lavoro a Jesi, nell’anno 1983 coach Velasco metteva a dura prova i ragazzi in settimana valutando passi simili a quelli musicali di tango argentino, tracciando il profilo del singolo atleta sulla base di determinati parametri fisici e atletici. Modelli di valutazione che secondo il buon Julio potevano in altere parole essere intesi come valori assoluti di riferimento per l’incremento della performance sportiva e sociale».
In tempi molto brevi, prof. Julio Velasco aveva indubbiamente stravolto i metodi di allenamento, orientandoli verso una nuova vision internazionale della pallavolo, aprendo simultaneamente nuove porte e nuovi orizzonti quali la rilevazione statistica di tipo sportivo e lo scouting.
Valutando i documenti d’epoca a nostra disposizione, si evince che l’allenatore argentino aveva iniziato ad impostare una tipologia di lavoro del tutto inedita e rivoluzionaria, basata sul rispetto delle regole e soprattutto sulla forte credenza e impatto di canoni sudamericani incentrati sui fattori determinanti della motivazione, spettacolarità, velocità mentale e tecnica e soprattutto della crescita dei giovani del vivaio.

Di certo la conoscenza analitica dei “più” e dei “meno” di un team di lavoro ha rappresentato da sempre uno dei più prolifici criteri di best-practice strategica.

Altro punto cruciale del modello è che nella distribuzione si deve tener conto delle caratteristiche psicologiche degli schiacciatori, in merito alla loro necessità di essere serviti più o meno frequentemente o in particolari momenti della partita.
Nei primi mesi di allenamento di Julio Velasco a Jesi, capitava che durante semplici esercizi di schiacciata e palleggio alcune sue pedine peccavano di leggerezza, nel senso che col passare del tempo tendevano a non eseguirli più in maniera corretta, con il necessario livello di aggressività agonistica richiesto dal coach.
In quelle circostanze l’allenatore argentino esprimeva tutto il suo mal consenso facendo leva sui fattori del carattere e orgoglio, per ribadire come la ricerca ottimale della qualità era incompatibile con l’approssimazione graduale della tecnica.
In altre parole, lo sviluppo tattico viene definito subordinato al concetto di precisione e a tal punto l’analisi statistica, a detta di Velasco, giocava un ruolo essenziale per la crescita del singolo profilo.

Al tempo stesso, occorre riportare un discorso storico di Julio Velasco, ritenuto oggi estremamente importante specie riguardo agli alzatori giovani.
Esso stabilisce che il palleggiatore non debba parlare o dare un’opinione soggettiva sulla ricezione della sua squadra, bensì risolvere in maniera corretta la situazione che si viene a creare.
E’ certo che una buona ricezione permette all’alzatore di variare il gioco, ma è pur vero che un grande alzatore fa a volte diventare eccellente una ricezione buona e buona una ricezione mediocre
Nei primi anni ’80 prof. Julio Velasco sottolineava ripetutamente che l’alzatore non deve recriminare con i propri schiacciatori quando sbagliano un colpo, nella maniera più assoluta.
Deve invece dare loro fiducia sia moralmente sia ridando loro la palla subito.
Inoltre deve essere in grado sia di sfruttare al massimo i pregi e le peculiarità dei suoi attaccanti.
L’alzatore stesso deve essere un grande pensatore e un esperto formidabile delle traiettorie della palla.
Uno dei suoi compiti fondamentali è quello di distruggere la motricità del muro avversario nelle sue tre componenti o almeno in una (la percezione della giocata, lo spostamento e il salto e la posizione delle mani sopra la rete), facendo mentalmente e costantemente una statistica di quante volte e in quali condizioni sia riuscito a portare i suoi schiacciatori con il muro ad uno.
La progressione del lavoro con un alzatore, dal momento in cui è giovane fino a quando diventerà un alzatore di buon livello, prevede cinque diversi step:
· Tecnica
· Precisione
· Scelta corretta di una delle tre alternative per ogni schema, giocando con pochi schemi molto allenati

Quando si parla di schemi e combinazioni prof. Julio Velasco fa riferimento a combinazioni di tempi che includono ovviamente spazi diversi.
Ciò richiede necessariamente un determinato grado di capacità attentiva, morale, intellettuale e mnemonica.

· Sulla base di una più grande varietà di schemi deve saper scegliere quale giocata utilizzare tatticamente bene
· Comando strategico e puntuale della partita
· Il momento giusto per sviluppare le finte del palleggiatore dipenderà molto dalle caratteristiche individuali

Idee chiarissime negli anni ’80 per Velasco: nella scelta degli esercizi occorre tener presente che l’esercizio che non si riesce a fare può avere tre motivazioni: è troppo difficile; il ragazzo non ha le capacità per farlo; è sbagliato. Per quanto riguarda gli esercizi, l’importante è la continuità e fondamentale è il ritmo. Da un appunto per una conferenza del 10 marzo 1985 invece si legge che il fondamentale palleggio deve essere eseguito con le mani sopra la testa in modo tale da non rendere prevedibile la direzione dell’alzata in avanti o indietro.

VI MOSTRIAMO UN APPUNTO ESCLUSIVO, BATTUTO A MACCHINA ALLORA, PER UNA CONFERENZA TECNICA DEL 1985.








Questo è un articolo pubblicato il 10-05-2019 alle 11:19 sul giornale del 11 maggio 2019 - 634 letture

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