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Arquata del Tronto: una messa nella tendopoli ad un mese dal sisma. L'omelia di Mons. D'Ercole

7' di lettura 24/09/2016 - Ad un mese dalla scossa di terremoto, che lo scorso 24 agosto ha colpito la Regione Marche e il Lazio, con Arquata del Tronto e la frazione di Pescara del Tronto tra i centri più colpiti nel territorio marchigiano, il vescovo di Ascoli Piceno mons. Giovanni D'Ercole ha celebrato una messa nella tendopoli di Borgo di Arquata del Tronto.

Il sisma, una scossa violentissima di magnitudo 6.0 della scala Richter con una profondità di 4 km, con epicentro a Rieti, ha causato 297 vittime delle quali 51 nella zona dell’ascolano.

Alla celebrazione, a cui hanno preso parte il presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli, la presidente della Camera Laura Boldrini ed il commissario per la ricostruzione Vasco Errani, monsignor D’Ercole ha detto:

1. Abbiamo ascoltato poco fa una nota parabola evangelica, che ben descrive la storia del mondo, dove alla ricchezza ostentata dal consumismo fa da sfondo una povertà sfruttata, e uno stuolo di poveri che bussano senza risposta alla porta dei benestanti, usurpatori di privilegi e benefici. Per una coincidenza casuale questo racconto fa da cornice alla nostra riflessione e alla nostra preghiera a 30 giorni dal terremoto, che ha privato delle case e dei propri effetti personali molti nostri fratelli, ha sepolto sotto le macerie tante vittime, che affidiamo ancora una volta alla misericordia di Dio. La scena descritta dall’evangelista Luca ha due tempi che non vanno assolutamente separati se vogliamo cogliere nella sua interezza il messaggio che vuole comunicarci. Da una parte, in maniera quanto mai espressiva, ci racconta che lo sfruttamento, la disonestà, l’egoismo accentrano nelle mani di pochi i beni e il potere: verità storica, del resto documentata dalla cronaca quotidiana. Dice anche che l’egoismo e il potere assetato di denaro, generatore di sperequazioni sociali, non hanno l’ultima parola. A vincere non è mai il male, ma il bene e la giustizia, non l’odio e l’egoismo bensì l’amore. Ci dice che non è Dio la causa degli squilibri sociali e delle inevitabili conseguenze che allargano il fossato tra i ricchi e i poveri, tra il nord e il sud dell’umanità. Non è Dio l’autore dei ricorrenti disastri ambientali dovuti allo scarso rispetto della natura e alla noncuranza umana, alla mancanza di responsabilità e alla volontà di profitto che rode come un tarlo la coscienza degli uomini. Al contrario, tutto il senso della parabola vuole farci consapevoli che Iddio, Padre misericordioso, sta con il povero sfruttato, con le vittime dell’ingiustizia, con chiunque soffre. Apparentemente è impotente sul momento perché rispettoso della libertà umana, ma si riserva l’ultima parola, la vittoria definitiva. Dal paradiso Abramo, all’anonimo benestante finito tra le fiamme dell’inferno che gli chiede di inviargli il povero Lazzaro a portargli qualche goccia di acqua, risponde: “Figlio, ricordati che nella vita tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti”. Lazzaro è consolato: la consolazione è il segno della vittoria di Dio, certamente definitiva nella vita eterna, ma già presente e operante sulla terra ovunque c’è qualcuno che spende la propria esistenza per andare incontro a chiunque e per qualsiasi motivo sta soffrendo.

2. Consolare significa suscitare la speranza in chi si sente travolto dalla fatica della vita; ad esempio, qui, in chi con il terremoto ha perso tutto. Ma come? Tutti abbiamo bisogno di speranze, per piccole che siano, per continuare il nostro cammino quotidiano fatto di tante incertezze. E’ indispensabile però una grande speranza, e questa grande speranza non può essere che Dio, il quale ci propone e dona quel che da soli sarebbe impossibile raggiungere. Ha scritto il papa emerito Benedetto XVI: “Dio è il fondamento della speranza – non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l'umanità nel suo insieme. Il suo regno non è un aldilà immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge. Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto. E il suo amore, allo stesso tempo, è per noi la garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell'intimo aspettiamo: la vita che è «veramente» vita.
(Spe salvi, n.31)

3. A questo proposito, ho voluto rileggere, in questi giorni faticosi, alcune pagine del libro “Uno psicologo nel lager” di Viktor Emile Frankl, che ad Auschwitz ha perso tutti rimanendo solo al mondo, ed ho annotato qualche espressione, che vorrei condividere con voi, amici colpiti duramente dal terremoto, e con voi, autorità, rappresentanti delle istituzioni e volontari accomunati da una stessa causa. Scrive V. Frankl:. “Dal modo in cui un uomo accetta il suo ineluttabile destino e con questo destino tutta la sofferenza che gli viene inflitta, dal modo in cui un uomo prende su di sé la sofferenza come la “sua croce”, sorgono infinite possibilità di attribuire un significato alla vita, anche nei momenti più difficili, fino all’ultimo atto di esistenza”. Dunque, pur nel più disperato momento della vita è possibile, anzi doveroso recuperare “il significato della vita”, perché – nota sempre Viktor Frankl– “quando non siamo più in grado di cambiare una situazione, siamo sfidati a cambiare noi stessi”. “Siamo sfidati a cambiare noi stessi”. Sì, è proprio così. Il terremoto può averci tolto tutto quello che possedevamo, ma non ha tolto la possibilità di ridare senso al dramma stesso che si è abbattuto su di noi. In un certo modo, possiamo dire che il dolore sfidandoci ci obbliga a guardare la realtà con gli occhi della verità: l’imprevisto esiste; il terremoto è un indispensabile fenomeno della natura con il quale l’umanità convive da sempre; la morte non è un incidente di percorso, anche se arriva indisturbata e decisa quando meno te l’aspetti. In questi momenti, come molti di voi hanno provato sulla loro pelle, crolla il mondo non solo fisicamente, e ci si ritrova soli a guardare al futuro. Il rischio da evitare è questo: camminare senza più una meta.

4. La Parola di Dio, concreta nel suo esprimersi, ci sfida a fidarci di Dio per allargare l’orizzonte della speranza. Poco fa abbiamo sentito ripetere dal salmista: “Il Signore rimane fedele sempre”, “rende giustizia agli oppressi”; “rialza chi è caduto, ama i giusti…ma sconvolge le vie dei malvagi”. Il nostro è un Dio misericordioso ma non “buonista”, un Padre pronto al perdono, che sconfigge la prepotenza dell’odio con l’onnipotenza del suo amore. Se oggi noi diciamo: “Mai più morti con il sisma”, Egli ci assicura la sua costante protezione perché questo avvenga; domanda però nel contempo l’impegno di tutti a lottare contro l’ingiustizia, a vigilare sulla legalità e il rispetto della natura e della dignità umana; ci chiede di metterci in gioco, ad ogni livello, per servire la causa del Bene, e abbattere con decisione la logica perversa del disimpegno egoista e dello sfruttamento. Il modo migliore per onorare la memoria delle vittime del terremoto, è proprio quello di lasciarci abbracciare dall’amore di Dio, testimoniato dalla solidarietà concreta degli uomini. Avviene allora il miracolo che tutti sogniamo, il miracolo della gioia: si può essere felici anche quando si soffre, purché si riesca a dare un senso a quel che si vive. Per questo è importante rimanere uniti, anche se, per esigenze logistiche, molti devono allontanarsi dalle proprie abitazioni. Dobbiamo imparare il lessico paziente dell’accoglienza e del perdono; dobbiamo volerci bene, sempre. Allora vedremo diventare realtà l’impossibile e il dolore trasformarsi in amore, il pianto in gioia. Alla Madonna delle Grazie, venerata in questi nostri paesi, affido il sogno di una ricostruzione rapida e condivisa; a Lei affido soprattutto l’avventura di una comunità di persone, capaci di trasformare il dramma del terremoto in una risorsa di speranza e di consolazione per tutti.






Questo è un articolo pubblicato il 24-09-2016 alle 21:55 sul giornale del 26 settembre 2016 - 1438 letture

In questo articolo si parla di attualità, Sudani Alice Scarpini, Arquata del Tronto, articolo

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