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Chiaravalle: chiosco distrutto, il 'secondo ko' di Kalambay

Kalambay e il suo chiosco al parco I Maggio distrutto 3' di lettura 30/01/2014 - Quel pugno di Michael Nunn, che il 25 marzo 1989 a Las Vegas lo gettò al tappeto procurandogli l’unica sconfitta per ko di una carriera gloriosa e infarcita di successi, deve avergli fatto meno male.

Ali Sumbu Kalambay osserva sconsolato quello che resta del suo bel chioschetto al parco Primo Maggio, ormai ridotto ad un cumulo di legna annerita e di cenere, scuote la testa ancora incredulo e ripete a bassa voce: “è il secondo knock-out della mia carriera e questo è quello più doloroso”.

Disorienta vedere uno come lui, abituato a lottare sul quadrato e sul ring duro della vita, così affranto e dispiaciuto. Quel bar, che d’estate era molto frequentato dai chiaravallesi che vanno a cercare refrigerio al parco, lo aveva chiamato “Time out” come se volesse sottolineare che lì c’era un pezzo di vita dove non era più necessario ed obbligatorio correre e boxare, combattere ed incrociare i guantoni, sputando sangue, sudore e lacrime. In quel bar c’era l’altra vita di Kalambay. Quella normale, quella fatta di quotidianità semplice.

“Con i miei due amici Claude e Silvester – dice Kalambay che non solo a Chiaravalle è considerato una vera icona nell’ambiente sportivo – avevamo investito parecchio in questo bar ed ora è andato tutto in fumo. E’ tutto da buttare: dalla struttura in legno, costata oltre 35 mila euro, alla pavimentazione, ai macchinari, alle attrezzature tecniche: il bancone frigo, i due congelatori, gli altri tre frigoriferi, il forno per la pizza, la macchina per caffè e cappuccini, la friggitrice, il depuratore, la lavastoviglie. Insomma i danni che abbiamo subito sono molto ingenti e speriamo nell’aiuto dell’assicurazione altrimenti ripartire e riaprire i battenti sarà molto difficile”.

Ali Sumbu Kalambay è abituato alla lotta, ad affrontare gli avversari guardandoli negli occhi ma questa volta il nemico è arrivato di soppiatto, l’ha colpito alle spalle, di notte, subdolo e vigliacco. “L’altra notte alle 3,42 – dice mostrandoci la chiamata dell’allarme sul suo telefonino – ha squillato il cellulare; pensavo fossero alcuni parenti dall’Africa, dallo Zaire, perché qualche problema laggiù ce l’hanno ancora. Non ho risposto subito ma alle 5 il telefono ha suonato di nuovo ed allora ho risposto. Erano i carabinieri di Monte San Vito che mi avvertivano dell’incendio. Quando sono arrivato mi sono sentito morire. Non penso ci sia qualcuno che ha voluto farci un danno, non siamo persone che danno fastidio. In passato 6 volte avevano rotto porta e finestre per rubare merendine e spiccioli ma niente di assimilabile a questo. Tutti pensiamo sia stato un corto circuito: la corrente elettrica era disattivata per le attrezzature ma era in funzione per alimentare un faro di sicurezza sempre acceso di notte e l’allarme che altrimenti non può scattare”.

Il ko è doloroso ma Sumbu si aggrapperà alle corde anche questa volta, si rialzerà a fatica ma si rimetterà ancora in piedi con orgoglio: il ring è la sua casa, la vita lo attende.






Questo è un articolo pubblicato il 30-01-2014 alle 09:49 sul giornale del 31 gennaio 2014 - 2204 letture

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