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Esabes: viva le bocce! Il marketing e come raggiungere il pallino

7' di lettura 25/09/2010 -

Suvvia chi almeno una volta nella vita non si è cimentato nel gioco delle bocce? Quel gioco per antonomasia che lo vuole incasellato nella classica immagine di passatempo per pensionati va decisamente svecchiato, rinnovato o, per usare un termine tecnico caro ai marketer, “riposizionato”.



Il gioco di per se è relativamente semplice, vince chi riesce a mettere una o più delle sue bocce il più vicino possibile ad un pallino rispetto all’altro giocatore, insomma è un lavoro di precisione, di approssimazione; l’importante è mettere almeno una boccia, rispetto a quelle dell’altro giocatore, più vicino ad una boccia più piccola detto pallino.

Quando decisi di intraprendere gli studi economici,tempo fa.. avevo questa curiosità verso questa “disciplina” poggiata sulla intuizione che strada facendo mi avrebbe riservato molte sorprese; devo dire che sono stato accontentato molto di più di quello che avrei mai potuto minimamente immaginare! Ogni esperienza è stata foriera di elementi “curiosi” ma tutti legati da una regola: l’assenza di certezza e la solo presenza di una possibilità “solamente” probabilistica, insomma vince che ci va più vicino.

Un fenomeno “curioso” è quello legato alla percezione: di fronte a fenomeni oggettivamente identici, da parte degli individui, attraverso le proprie interpretazioni soggettive, che arrivano a conclusioni (percezioni) che possono essere addirittura, in qualche caso, diametralmente opposte, ne consegue che di fronte allo stesso fenomeno, dati, informazioni ecc. si possono creare discussioni fra ciechi e sordi in quanto le distanze sono così abissali che qualsiasi tentativo di conciliazione risulta assai arduo se non impossibile. Politica docet!

Quanto sopra detto viene a sommarsi e ad amplificarsi nella arena chiamata “azienda” dove spesso convivono soggetti con provenienze, impostazioni, culture, approcci completamenti diversi e tutto questo spesso provoca un arroccamento su posizioni qualche volta al limite dell’arroganza.

Ora tutti sanno che nell’ambito aziendale si debbono prendere decisioni (dall’Ist Enc. Treccani vol. II pag 20 dal lat. Decisio-onis tagliare … scelta cosciente e ragionata di una tra le varie possibilità di azione e/o comportamento. In psicologia: momento deliberativo di un atto volitivo -di grande forza di volontà-) le quali sottostanno ad un sub strato di informazioni spesso oggettive o quanto meno si presentano come tali, ma imprenditore, tecnici ed economisti spesso si trovano su orizzonti decisionali o forse pianeti, completamente diversi; i tecnici, di formazione ingegneristica e dintorni, che presiedono l’area sviluppo nuovi prodotti, pretendono di dare un taglio matematico scientifico con soluzioni a carattere “matematico”; gli economisti, ovviamente invece percorrendo la strada dai confini sfumati dell’economia, arrivano a soluzioni completamente diverse e dulcis in fundo, l’imprenditore il quale a sua volta spinto da “interessi” suoi propri, giustamente si posizione in una terza conclusione.

Certo sono d’accordo con la massima che dice che se si è sempre d’accordo sono tutti inutili meno uno ma la questione va posta secondo la giusta prospettiva che a mio avviso è la seguente: tutti gli imprenditori sostengono di essere market oriented che in altre parole significherebbe che sono attenti a soddisfare i bisogni dei loro clienti (aziende , consumatori ecc.).

Nella mia esperienza però mi è successo di prendere atto che spesso alle intenzioni o alle dichiarazioni i fatti si sono rivelati assai diversi; anni fa (era il 2004) mi trovavo in una azienda del settore idrotermosanitario nella quale si strombazzava il credo del market oriented a ogni piè sospinto, l’azienda era dotata di un poderoso ufficio tecnico con all’interno soggetti molto pieni di se e soprattutto molto poco permeabili a consigli e collaborazioni con le altre aree dell’azienda; dopo più di un anno speso a capire “come girava la pallina” sono arrivato alla conclusione che l’azienda non era affatto market oriented per la semplice ragione che nessuno si poneva dalla parte del consumatore ma addirittura sistematicamente succedeva che dall’ufficio tecnico uscivano prodotti che poi “dovevano essere venduti”, certo tecnicamente ottimi ma commercialmente parlando tanto ottimi quanto lontani dai bisogni del consumatore e quindi commercialmente quasi improponibili!

La situazione poteva solo essere dipanata dall’imprenditore e feci di tutto per persuaderlo che non basta dire di essere market oriented per esserlo ma che praticarlo sul serio era tutt’altra cosa e che sarebbe stato necessario ridisegnare quasi tutti gli equilibri aziendali pena il rischio di trovarsi sempre più lontani dai bisogni e quindi dal successo commerciale. In quel momento l’azienda era leader in Italia e decisi di non collaborare più con loro; cinque mesi fa l’azienda è fallita.

Non c’è mai soddisfazione ma tristezza e qualche volta rammarico nel fallimento di una azienda; ci si rammarica sul fatto di aver fatto tutto il possibile per evitarlo o no si pensa a quelle persone valide con le quali magari si era stretta un’amicizia le quali, comprese le loro famiglie, sono state stritolate da una stupida miopia … IL MARKETING?

Applicare il marketing non è la cosa più semplice di questo mondo perché sposta equilibri spesso consolidati e smuove paure ancestrali in coloro che credono di perdere il loro orticello di potere. Il fenomeno è praticamente sistematico nell’area strategica ma a questo tema dedicheremo altre righe. Lo stesso fenomeno mi capitò in un’altra azienda leader mondiale del suo settore (il settore era quello della plastica); in questo caso l’epilogo non ha sfociato (ancora) nel fallimento ma il nocciolo della questione rimane sostanzialmente quello: applicare il marketing nove volte su dieci significa rivoluzionare e questo mette, immotivatamente molta paura.

Situazioni come questa non sono isolate anzi le case histories sono numerosissime, insomma il marketing sembra gestire la classica situazione voglio (vorrei) ma non posso (non voglio), tutti si vogliono fregiare di essere mkt oriented ma in realtà i fatti non stanno così perché? Estremizzando si potrebbe dire che per essere mkt oriented è necessario accettare che il potere ce lo ha il consumatore con i suoi bisogni punto e basta. Una volta accettato questo è necessario entrare nella testa del consumatore e qui ci sono due vie che non si escludono ma si completano tra loro:da una parte il fiuto, l’intuito o in una parola l’empatia di intercettare i bisogni e dall’altro la conoscenza profonda, tecnica delle dinamiche legate alla psicosociologia dei consumi. Mi permetto di far notare che entrambe le strade non hanno legami con l’ingegneria sic et simpliciter ed è a questo punto che la miscela micidiale è pronta ad esplodere con i suoi nefasti effetti.

Il tentativo di incasellare il consumatore e i suoi bisogni dentro una “fredda” formula è, a mio parere, semplicemente impossibile prendiamo ad esempio uno dei principali paradigmi del consumatore odierno detto della postmodernità attraverso l’interpretazione che alcuni autori internazionali ne fanno.

Siamo in presenza se non proprio di un ginepraio almeno di qualche cosa che implica una applicazione continua, assidua, il tutto corroborato da una forte dose di discernimento per riuscire ad ottenerne qualche cosa di fruibile a livello strategico operativo aziendale.

L’eterna battaglia tra ingegneri e economisti, tra economia reale e monetaristi forse mai si risolverà completamente e chissà che forse non sia bene così!?

Dr. Livio Giuliodori-Docente universitario e consulente Strategia Aziendale (riproduzione riservata)


   

da Livio Giuliodori
Esabes




Questo è un articolo pubblicato il 25-09-2010 alle 00:18 sul giornale del 27 settembre 2010 - 1683 letture

In questo articolo si parla di economia, esabes, Livio Giuliodori

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