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Il padre di Almas dopo il rapimento: 'Non sono un padre padrone'

Aslam Mahmood e mauro diamantini 2' di lettura 10/02/2010 - “Una casa vuota e fredda, che non sento più mia”. Sono le prima parole rilasciate da Akhatar Mahmood, il 40enne pakistano, padre di Almas, rapita il 18 gennaio scorso, dopo che era stata affidata dai servizi sociali in una comunità per minori di Fano.

Akhatar, ora agli arresti domiciliari in attesa del processo che lo vedo inquisito insieme alla moglie Aslam (nella foto insieme all'avvocato Diamantini) per sequestro di persona, è un uomo distrutto. Il Tribunale ha deciso di togliere ai due coniugi, che vivono da anni a Senigallia, anche gli altri due figli di 16 e 14 anni.


Per quanto commesso dovremo pagare il nostro debito alla giustizia ma questo non giustifica l'allontanamento dei nostri due figli -racconta Akhatar in una memoria lasciata al suo legale l'avv. Mauro Diamantini- i due ragazzi, a differenza della sorella Almas, non hanno con noi alcun conflitto e vogliono stare in famiglia”. In quanto alla vicenda del rapimento, Akhatar si sfoga e parla come un padre alle prese con una figlia adolescente e come tale alle prese con tutte le problematiche dell'età. “Io non sono affatto un padre padrone -prosegue Akhatar- i problemi con Almas sono iniziati per motivi che nulla hanno a che fare con le religione né con i matrimoni combinati. L'unica cosa che rimprovero a mia figlia sono due amicizie con due compagne di classe che non erano studiose, fumavamo e facevano tardi la sera e da quanto Almas le frequentava aveva iniziato ad andare male a scuola e a rispondere in malo modo a casa”.


Circa la ferita riportata alla testa da Almas nell'aprile scorso, Akhatar precisa che c'è stato solo uno schiaffo e che la figlia si sarebbe procurata la ferita a seguito del “ceffone o dell'isteria di Almas”. In quanto al rapimento, il padre confessa che si è trattato di un gesto estremo per poter parlare con la figlia dopo mesi nel tentativo di convincerla a tornare a casa. “Recisi conto che la volontà di nostra figlia era di rimanere in comunità -conclude Mahmood- ho telefonato ai Carabinieri per annunciare il mio rientro”.


Sotto la memoria completa lasciata da Akhatar Mahmood all'avvocato Diamantini.






Questo è un articolo pubblicato il 10-02-2010 alle 23:47 sul giornale del 11 febbraio 2010 - 834 letture

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