L\'Italia, le Marche e il caos delle cave

Un panorama che, dalle Alpi Apuane alla Sicilia, passando per Caserta e l\'alta Murgia, il far west calabrese e la costa toscana, riflette un preoccupante stato di caos e arretratezza amministrativi e degrado del territorio.
La
fotografia è scattata da Legambiente, in un dossier
presentato giorni fa a Ferrara nell\'ambito del Festival della cittÃ
e del territorio, che raccoglie tutti i numeri sulla gestione
dell\'attività estrattiva in Italia. Nell\'intento di fare
il punto su politiche e competenze e capire le spinte che muovono un
settore strettamente intrecciato con quelli dell\'edilizia e delle
infrastrutture.
I
numeri contenuti nel Rapporto sono impressionanti. L\'estrazione di
inerti e la produzione di cemento sono anche nelle Marche in
costante aumento: Le cave attive nel nostro territorio sono 175
mentre addirittura 1041 sono quelle dismesse. In tutta Italia si
possono stimare in oltre 10 mila quelle complessivamente abbandonate
se si considerano anche le 9 Regioni in cui non sono disponibili
dati. La Puglia, con 617 cave attive, è la Regione che ne
totalizza il maggior numero. Seguono Veneto (594), Sicilia (580),
Lombardia (494), Sardegna (397), Piemonte (332), Emilia Romagna
(324). Le Marche sono 13° In testa alla classifica delle
cave dismesse c\'è la Lombardia, con 2.543 aree abbandonate.
Seconda la Campania (1.257). Impressionante il numero nelle Marche
(1.041- terza in classifica) e in Sardegna (860).
Il primo posto per quantità estratta spetta alla Sicilia con oltre 113 milioni di metri cubi nel 2006, all\'interno della quale spicca il dato della provincia di Palermo (più di 57 milioni) dove l\'estrazione di calcare raggiunge livelli altissimi, superiori alla maggior parte delle Regioni italiane. In Lombardia sono oltre 71 milioni i metri cubi cavati, oltre 32milioni nella Provincia di Trento. Le Marche sono 8° con oltre 3 milioni e mezzo di m3 di quantitativo estratto. Di questi più della metà proviene da Macerata (1.875.907 m3- Vedi tabella in calce al testo).
Nel
2006 in Italia sono state consumate quasi 47 milioni di tonnellate di
cemento, per una media di 813 chili per ogni cittadino a fronte di
una media europea di 625. Tra i grandi Paesi europei, solo la
Spagna presenta una situazione peggiore della nostra. Tra il 1999 e
il 2006 in Germania e Regno Unito il consumo di cemento diminuisce.
La
normativa nazionale di riferimento è ancora un Regio Decreto
del 1927, un testo che rispecchia l\'idea di un settore da
sviluppare, sfruttando le risorse del suolo e sottosuolo al di fuori
di qualsiasi considerazione territoriale, ambientale o paesaggistica.
Le regole per l\'attività estrattiva dovrebbero essere
dettate dalle Regioni a cui sono stati trasferiti i poteri in
materia nel 1977. La fotografia aggiornata della situazione nelle
Regioni italiane vede un quadro normativo completo, con l\'eccezione
della Calabria, e invece l\'assenza di piani in ben 10 Regioni,
Veneto Friuli e tutte quelle del centro-sud (Lazio, Abruzzo, Molise,
Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna) con l\'eccezione
della Puglia che lo ha approvato nel 2007.
In Calabria non
esiste una legge, né un piano, il potere di autorizzazione
è stato trasferito ai Comuni e in Regione non conoscono
nemmeno il numero delle centinaia di cave, moltissime illegali,
aperte nel territorio. In almeno metà del Paese, dunque, la
situazione è di grave emergenza. L\'assenza dei piani
cava ha come conseguenza di determinare un\'enorme discrezionalitÃ
in chi deve autorizzare le nuove cave e nello stesso controllo del
territorio, e in cui si fa sentire tutto il peso delle Lobby dei
cavatori e delle ecomafie. Sono pochissime, poi, le Regioni che
escludono dall\'attività estrattiva aree di rilevante
interesse ambientale. Nella nostra regione negli ultimi tempi
è da registrare il tentativo di attacco al piano cave per
permettere l\'escavazione sotterranea anche in territori di elevato
pregio ambientale: ne è un esempio la recente modifica della
legge regionale 71/97 sulle attività estrattive che, a
determinate condizioni, consente l\'escavazione anche in aree
protette.
Un\'altra
anomalia è rappresentata dalle tariffe di
concessione. A fronte di guadagni miliardari per il settore, i canoni
che si pagano alle Regioni sono bassissimi, in media di pochi
centesimi di euro. Per sabbia e ghiaia si va, per esempio, dai
0,10 euro a metrocubo pagati in Campania ai 3,33 Del Friuli. Ma in
Sicilia, Sardegna, Puglia e Basilicata cavare è, addirittura,
un\'attività gratuita. Nelle Marche le tariffe
variano: 0,59 euro a metrocubo per sabbia e ghiaia, 1 euro/m3
per calcare, 0,29 euro/m3 per pietre ornamentali,
0,35 euro/m3 per argilla. Un dato stupefacente,
considerati i danni arrecati all\'ambiente e i guadagni del settore,
che muove un giro d\'affari di circa 5 miliardi di euro
l\'anno solo per gli inerti.
Per
Legambiente ridurre il prelievo di materiali e l\'impatto delle cave
nei confronti del paesaggio è quanto mai urgente e possibile.
\"Ridurre il prelievo di cava si può, come dimostrano
le esperienze di altri Paesi europei - spiega Luigino
Quarchioni, Presidente di Legambiente Marche -. Le quantitÃ
più rilevanti di materiali estratti ogni anno nelle Marche
sono utilizzati per l\'edilizia e le infrastrutture: quasi il 60% di
quanto viene cavato sono inerti, principalmente ghiaia e sabbia e
altri materiali per il cemento. Occorre ridurre il prelievo di
materiali dal suolo grazie al riciclo degli inerti e rivedere
profondamente i canoni di concessione. In molti Paesi europei il
riciclo di inerti ha già superato il 90%; l\'Italia è
solo al 10% ma grazie a macchinari e centri di riciclo più
grandi e organizzati può fare un salto di qualità a
standard europei\".
E\'
necessario definire al più presto un nuovo quadro
normativo. Ridurre il consumo di inerti di cava nell\'industria
delle costruzioni, rafforzare controllo e tutela del territorio,
spingere l\'innovazione del settore sono gli obiettivi prioritari.
Per
garantire una gestione dell\'attività estrattiva
rispettosa dell\'ambiente è necessario definire per tutto
il territorio nazionale alcuni standard minimi relativi alle aree in
cui l\'attività di cava è vietata ed estendere le
procedure di VIA (Valutazione di impatto ambientale) a tutte le
richieste di cava, senza limiti di dimensione. Per ridurre l\'impatto
sul paesaggio e quello idrogeologico vanno anche definiti
urgentemente criteri per il recupero delle diverse tipologie di cave.
Il
controllo delle attività di cava sul territorio e della
legalità è una condizione essenziale per monitorare
l\'evoluzione del fenomeno cave, responsabilizzare le Regioni
all\'esercizio delle loro funzioni e sostituirle quando
inadempienti, anche per garantire chi lavora in maniera onesta.
Va
rivisto il meccanismo di fiscalità . Non solo perché
è assurdo che il costo del prelievo sia così basso o
addirittura pari a zero, ma anche per il costo eccessivo del
conferimento in discarica dei rifiuti provenienti dall\'edilizia.
Grazie a un\'attenta incentivazione, occorre favorire il riutilizzo
dei materiali di scavo e di demolizione come aggregati riciclati per
tutti gli usi compatibili. La prospettiva è quella di una
moderna filiera dove, al posto del conferimento in discarica, siano
le stesse imprese a gestire il processo di demolizione selettiva e di
riciclo dei materiali, che correttamente lavorati possono diventare
una eccellente alternativa agli inerti e agli aggregati per il
cemento. E\' la strada intrapresa nei principali Paesi europei.

Questo è un comunicato stampa pubblicato il 29-04-2008 alle 01:01 sul giornale del 29 aprile 2008 - 977 letture
In questo articolo si parla di attualità, legambiente