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ostra vetere: Bielorussia

6' di lettura 30/11/-0001 -
Dalla Croazia alla Bielorussia: per arrivare dovremmo attraversare le terre ungheresi tra le danze dei zingari magiari, la Slovacchia giovane e piena di entusiasmo per la sua avventura europea e la grande Polonia con tutte le sue ambizioni regionali e nostalgie per il papa e l’antica grandezza…infine arriviamo in Bielorussia.

di Vittoria Fiori
vittoria@vivere.marche.it


Alla frontiera di Brest entriamo a contatto con un popolo che ha sofferto molto nei secoli, conteso tra lo zar e il dominio polacco, la Chiesa Greco-cattolica e la Chiesa Ortodossa.

Dal 1919 entra a far parte dell’URSS e subisce la collettivizzazione forzata e una dura repressione, nel 1941 la furia nazista si abbatte per prima sulla Bielorussia. Ma il colpo più duro lo subisce il 26 aprile del 1986: l’esplosione della centrale di Chernobyl mette in ginocchio il paese, morte e devastazione fanno salire il risentimento del popolo verso Mosca, da cui si affrancheranno il 25 Agosto 1991.

Nel 1994 Lukhashencko vince le elezioni presidenziali con un programma di stretto controllo statale sull’economia.

19 marzo 2006. La Bielorussia va alle urne. Il Paese che gli Stati Uniti definiscono “l’ultima dittatura europea”, dove il servizio segreto mantiene ancora il nome di Kgb, è chiamato ad eleggere il suo Presidente.
La consultazione si trasforma in un plebiscito. Lukashenko è rieletto con oltre l’80% dei voti.
La gente scende nelle strade. La Piazza d’Ottobre, al centro della capitale Minsk, è occupata da migliaia di persone. Si denunciano i brogli e si invoca la ripetizione delle consultazioni elettorali.
Ma il sogno di un'altra rivoluzione arancione, come nella vicina Ucraina, dura poco.

Disordini in un certo senso annunciati quelli che hanno scosso Minsk a metà marzo.
Già ribattezzata forse prematuramente la “rivoluzione dei jeans” la situazione sembrava recitare un copione già visto nelle cosiddette “rivoluzioni colorate”. Ma la Bielorussia non è una regione come le altre: ancorata a un passato sovietico che i bielorussi non sono poi così certi di voler dimenticare, le sirene europee e occidentali in genere sembrano suscitare solo tiepidi entusiasmi nel popolo dell’ultimo dittatore europeo Lukashencko. Il presidente ha già blindato la sua vittoria con provvedimenti emanati nell’estate 2004: un pacchetto antisommossa che prevede tra l’altro l’arresto preventivo fino a 2 anni di prigione per chi organizza manifestazioni illegali o faccia parte di “gruppi non registrati”. Norme molto somiglianti all’articolo 67 del codice penale sovietico, “Campagna e propaganda antisovietica”.

Putin tollera ancora il presidente bielorusso perché nonostante l'ostinato diniego alle privatizzazioni, fortemente auspicate dagli oligarchi russi, riamane l'ultimo bastione fedele in una regione scossa da troppe rivoluzioni “colorate”.
Queste non sono rivoluzioni -chiarisce Lukashenko -ma esempi di banditismo convenzionale realizzati utilizzando soldi occidentali”.
Sabato 25 marzo 2006 sono stati arrestati i leader dell’opposizione compreso il candidato presidenziale Kozulin ex-rettore dell'università di Minsk, smentito il fermo dell’altro candidato Milinkevic.


Quest'ultimo ha arringato una folla di quasi diecimila persone e ha usato parole di fuoco: "Nessuno - ha detto - crede nella veridicità dei risultati elettorali. Loro hanno perso, noi abbiamo vinto. E' l'inizio della fine per quanti ci hanno ingannato. Quella di Lukashenko è una vittoria di Pirro. Non dobbiamo aspettare altri cinque anni per costruire una Bielorussia libera. Dobbiamo farlo adesso. Abbiamo superato la paura. E' tempo che loro abbiano paura. Prenderemo la fortezza!".



Ma solo nella manifestazione di sabato sarebbero state arrestate almeno 100 persone che manifestavano pacificamente. Il governo austriaco, presidente di turno dell'Ue, ha diffuso un comunicato in cui afferma che l'Unione Europea è «inorridita dalla violenza usata contro i dimostranti dalle autorità bielorusse» e chiede l'immediata liberazione di Kozulin e di altri oppositori incarcerati. Il grido di "Zhive Belarus!" (viva la Bielorussia), "Milinkevic è il nostro presidente!", "Non potete arrestarci tutti!", "Vergogna!" sembra invece caduto nel vuoto. In questo frangente un’apatica Europa sembra incapace di opporre iniziative forti e risolute. Gli appelli dei manifestanti e del loro sponsor (leggi Polonia) sembrano sortire solo deboli risultati Visto negato per Lukashencko come “persona non gradita” e possibili sanzioni economiche. Insomma il minimo indispensabile.

Quest’anno il tavolo del G8 sarà ospitato a San Pietroburgo, Putin con il suo governo ha apertamente appoggiato l’operato del presidente Lukashencko e in teoria non potrà sottrarsi al biasimo (?) internazionale per averlo sostenuto in questo frangente. Il Cremlino rafforza la lealtà di Minsk con 2 miliardi di dollari l’anno: ciò significa che senza gli aiuti russi l’economia del paese crollerebbe trascinando con sé tutto il sistema sociale e scolastico di cui tuttora godono i cittadini.

Come ha fatto più volte notare il candidato dell’opposizione bielorussa, Aleksander Milinkevich, l’economia di Minsk risulta “drogata”. Lukashenko ha finora potuto contare sui prezzi politici del gas e sulla cessione – attraverso Beltransgaz – dell’oro blu in Europa. I ricavati sono stati dirottati sulle industrie di Stato e nelle campagne, queste ultime bacino inesauribile di consenso per Lukashenko. Ma se nell’economia le frizioni tra Putin e Minsk non mancano sul piano militare tra i due paesi esiste un trattato comune di difesa compreso l’ uso della base missilistica di Baranovici. Senza contare che già da alcuni anni esiste un progetto di unificazione politica e territoriale.


Per l’Europa l’utilità di Minsk risiede nell'azione di filtro che continua a frapporre all‘immigrazione clandestina e al traffico di armi e droga proveniente da Est. Ma ciò che maggiormente pesa è questo: attraverso la Bielorussia passa circa il 10 % delle intere forniture di metano.
Dopo la defezione dell’Ucraina, Mosca aveva aumentato il passaggio di energia attraverso la Bielorussia, con reciproco vantaggio: pagamento del pedaggio in gas e forniture energetiche a basso costo a supporto dell’economia. Ma tutto ciò come tiene a precisare il numero due di Gazprom “fino a quando al Bielorussia adempirà ai suoi obblighi”.
Tenersi alla larga dall'Occidente. Al momento Minsk paga soltanto 46,68 dollari per ogni 1.000 metri cubi di gas e dal 2007 il prezzo potrebbe salire a 235 dollari. L'8 Aprile mentre il presidente giurava in una cerimonia trasmessa a reti unificate, da Mosca giungeva il diktat della Gazprom: in poche parole, la dirigenza dell’azienda, proiezione energetica del Cremlino, ha imposto a Lukashenko di cedere Beltransgaz, la compagnia di Stato bielorussa che gestisce il transito dell’oro blu siberiano nella Russia bianca.

L’alternativa alla cessione è l’aumento dei costi del gas russo, ceduto finora a prezzi stracciati. Minsk deve decidere entro il 30 aprile. Per il presidente questa è una scelta senza futuro: se cederà Beltransgaz sarà costretto a comprare da Mosca il gas come semplice cliente e perdere entrate, se si rifiuterà per sostenere le spese energetiche e l'economia di stato sarà costretto a cambiare radicalmente politica economica e permettere l’ingresso di capitali russi perdendo l'appoggio popolare che ancora conserva.

Per la prossima tappa il nostro viaggio farà rotta a sud verso Romania e Moldova.






Questo è un articolo pubblicato il 30-11--0001 alle 00:00 sul giornale del 22 aprile 2006 - 3327 letture

In questo articolo si parla di redazione





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